Allenare nel dilettantismo può essere visto come l’occupare il tempo libero dopo il lavoro. Spesso si classificano gli allenatori per il loro status di “dilettante”, ma dietro c’è tanto lavoro e patentini federali conseguiti per poter mettere in campo le proprie idee tattiche, lavorando con estrema professionalità e dedizione. Tra questi profili c’è anche quello di Alessio Martino, allenatore classe 1983, che nonostante la giovane età si è già tolto diverse soddisfazioni in ambito regionale, su tutte la favola Eclanese che gli ha aperto le porte della Serie D. Diverse esperienze, dalla Virtus Goti alla Gelbison, che lo hanno portato alla ribalta grazie al gioco propositivo e spumeggiante espresso sul campo dalle proprie squadre, tanto da farlo diventare tra i più richiesti nel mercato estivo. Ora, però, siamo all’ennesima settimana senza calcio giocato, la nostagli ainizia a farsi sentire e più di tutti la maggior saudade sicuramente ce l’ha Martino, che ha dovuto fermarsi quasi prima di cominciare col suo Grotta, a causa di una scelta drastica della società.
Inizio carriera di allenatore, cosa ti ha spinto una volta appese le scarpette al chiodo ad intraprendere questa avventura? Parlaci dei tuoi inizi
“È iniziato tutto per scherzo, avevo deciso di giocare per divertirmi iniziando a immergermi nel mondo del lavoro, ma con l’ambizione di restare nel calcio. Ho conseguito il corso per l’abilitazione al patentino Uefa B, ed ogni giorno mi scontravo con il docente mister Savarese, al quale contestavo la sua teoria, al mio modo di essere più pratico, cioè per l’esperienza vissuta a certi livelli, e poi altri livelli cioè i dilettanti, avvalendomi del mio pensiero che rivolgeva la sua filosofia verso un calcio organizzato, molto propositivo, maniacale nei particolari, ma che poteva cambiare in corrispondenza dei singoli a disposizione, cioè per nulla integralista. Mi chiamò a casa alla fine del corso, inaspettatamente direi, chiedendomi cosa facevo e dove giocavo, gli rispose che dopo l’infortunio mi divertivo in Promozione e lui mi disse queste parole che non dimentico mai: “Smetti subito, devi iniziare ad allenare, per 40 giorni ho cercato di piegarti, intimidirti, ma mi davi sempre la tua risposta pronta e con motivazioni giuste, devi iniziare ad allenare, non interessa dove ma inizia che sei bravo. Ti ho dato 30 in tecnica e tattica calcistica e 10 punti di credito, il massimo, non conferire con nessuno di questa telefonata e fammi sapere dove andrai ad allenare “. Lo presi alla lettera, ebbi una opportunità in prima categoria, con un progetto di tre anni per preparare la squadra poi al salto in promozione. Il Primo anno era da tenere la categoria, con una squadra giovanissima é dir poco, in un campionato per me sconosciuto, arrivammo quarti, battendo tutte le prime della classe, facendo 7 vittorie esterne consecutive e 75 reti, mi chiamavano Zeman in quel campionato, per la voglia di non accontentarmi mai del risultato, e portammo circa 300 persone a vedere una semifinale play off, della sorpresa del torneo a detta di tutti. Ecco se avessi sbagliato il primo anno, forse non avrei allenato più, forse è stato quello l’anno che mi ha dato più consapevolezza. Il secondo vincemmo il torneo con 91 reti fatte, e già eravamo in Promozione il terzo campionato, con la stessa compagine, e terminando quarti il girone di andata, avendo battuto le prime della classe solo noi in quel girone di andata. Beh, lì iniziarono a contattarmi squadre per vincere il torneo, ed a fine anno ho terminato la mia prima avventura da Mister, iniziando un altro triennio di grandissime soddisfazioni all’Eclanese, riportandola in Eccellenza, e facendo 88 punti in 2 annate, il secondo anno record di punti nella sua storia (50), in una categoria dove aveva sempre disputato i Play out. Dopo quelle annate, tre alla Virtus Goti e tre all’Eclanese, ho iniziato a capire di essere pronto, pronto per una categoria che iniziava ad essere un calcio dove i particolari, cosa che ho sempre curato, avrebbero potuto fare la differenza, perché ritengo che la D sia una categoria semi professionistica”.
Prima Categoria, Promozione, Eccellenza e Serie D. Tante esperienze nonostante la giovane età, ma vale più sentirsi pronto o dimostrarlo?
“Ecco sentirsi pronto è un conto, dimostrarlo, nel girone H, con una società che doveva salvarsi, ed un giovane allenatore sulla panchina, è tutt’altra cosa. La mia prerogativa è stata sempre aver fatto, da trainer, l’uomo delle prime volte. Quindi sempre a dimostrare, in ogni categoria, di essere all’altezza, in mezzo a tanto, giusto, scetticismo. In Prima mi dicevano che non avevo mai allenato e sarei retrocesso. In Promozione persi la prima gara, mi dissero subito: “Questa non è la prima categoria”. In Eccellenza mi hanno detto la stessa cosa, specie per la mia filosofia, a dire degli altri un pochino spavalda, ma per me è solo un modo di decidere di come voler perdere, ed io voglio farlo sempre da protagonista, a me non piace soffrire, tutto qui. Quindi in D non mi avrebbero dato tutto quel tempo, ed allora ho cercato di non fallire l’inizio di un torneo, e di un girone, a detta di tutti proibitivo. Mi sentivo ripeto, pronto, ma fare 7 gare senza subire reti, 8 gare 13 punti dietro il Bitonto a sole 2 lunghezze, era un inizio che nessuno si aspettava, pieno di record, e perlopiù con prestazioni di altissima qualità, sia in casa che in trasferta. Essere però esonerati dopo 2 gare, sinceramente é un altra cosa che non mi aspettavo. Per questo mi è rimasto molto l’amaro in bocca, perché avrei, ed accetterei di fare passi indietro se non avessi fatto risultato, cosa legittima per il nostro mestiere, ma così invece brucia parecchio. Fare 10 gare su 26, ed avere una media punti maggiore del dopo mercato, mi hanno reso ancora più consapevole, e fiero poiché quei punti sono stati fondamentali ai fini della salvezza della Gelbison alla fine della stagione. Ed è per questo avevo deciso di aspettare solo la D, per la voglia che avevo, credo il merito di aver dimostrato con i punti di averla ampiamente affrontata, ma ovviamente scegliere me, e dargli la possibilità di rifare la categoria, è una scelta coraggiosa, non da tutti, ed è molto più facile far ricadere questa decisione su un collega che abbia fatto per molto più tempo la categoria. Ho avuto allenatori importanti, Capuano, Morgia, Di Cicco, che mi hanno sempre detto che il calcio è dei coraggiosi, mi piacerebbe pensare che questo avvenga sempre, ed è per questo che ora sto aspettando questa categoria”.
Con il Grotta, un capitolo che si è chiuso a causa del virus. C’erano i presupposti per puntare alla D?
“Grotta è stato un colpo di fulmine, la D tardava ad arrivare, un presidente serio, ambizioso come me, ha letto nei miei occhi la fame di successo, avevo dato parole che avrei allenato una squadra che avrebbe lottato per il vertice, ho creduto a questa grande persona, ed in venti giorni abbiamo costruito una grandissima compagine che avrebbe di sciuro lottato per le prime posizioni. Il Covid, i protocolli poco attuabili, hanno fatto fare alla società una scelta lungimirante, io frotunatamente ho avuto la possibilità di toranre sul mercato ed aspettare quella categoria a cui ambivo. Ci siamo sentiti e lasciati, per ora, in gran modo, da persone per bene quale siamo. Il presidente mi ha consigliato di seguire le mie ambizioni, è il mio primo tifoso per questo legame che si è creato, tanto che se mi dovesse chiamare in futuro non ci penserei un attimo a tornare, anche con obiettivi diversi. La riconoscenza fa parte del mio essere. Se oggi si parla di Martino allenatore, lo devo al mio primo presidente Giuseppe Carfora, ma anche al secondo presidente Antonio Casale, che mi hanno dato l’opportunirà di iniziare e confermarmi, dandomi sempre tempo e libertà per lavorare come meglio credevo. Fortunatamente i risultati sono stati quelli che hanno premiato la scelta. Ci tengo, però a ringraziare al Gelbison, che mi ha fatto conoscere in tutta Italia, dandomi la possibilità di farmi conoscere nel palcoscenico della Serie D”.
Foto a cura di Carol Violante