Mettiamo sul piatto della bilancia: da un lato una Champions, due Europa League, due Liga, una Coppa d’Inghilterra, una Community Shield, una Supercoppa Italiana, una Supercoppa Europea ed un Mondiale per Club; dall’altro una Coppa Italia, ma anche una salvezza da mission impossible con la Reggina, una qualificazione in Champions ed una finale di Coppa Italia con una Samp non stellare e due qualificazioni nell’Europa che conta anche col Napoli. Il paragone sembra irriverente. Dal primo lato del piatto c’è ovviamente Rafael Benitez, presente e speriamo futuro azzurro, dall’altro c’è Walter Mazzarri, passato prossimo del club partenopeo. Stiamo parlando di due grandi allenatori, non c’è dubbio, due grandi allenatori che si contenderanno, con Conte, lo scettro di top coach della Serie A; ma chi è davvero il migliore? Analizziamo la questione da diversi punti di vista, dopo essere, per l’appunto, partiti dal palmar√©s.
Artista contro Aziendalista, Benitez-Mazzarri e l’incrocio sull’asse Napoli-Milano
Artista vs aziendalista – I loro destini, poi, sembrano essersi incrociati: Don Rafè torna in Italia dopo la non esaltante esperienza all’Inter post-Mourinho, Walterone lascia il Golfo dopo l’ennesimo (a sua detta) “miracolo sportivo”, per approdare proprio all’Inter, nel momento forse più basso (sportivamente parlando) della storia recente del club nerazzurro. Come a dire, il primo è uno che ama viaggiare tra le stelle, l’altro uno scalatore che preferisce partire dal basso. Don Rafè è un artista, Mazzarri un aziendalista di primissima fascia. Il tecnico spagnolo ha richiesto un mercato internazionale, per ben figurare in Champions oltre che in campionato e dare al suo team quella mise poliglotta tipica dei suoi capolavori calcistici (vedi il Valencia campione di Spagna o il grande Liverpool di Istanbul); pur non essendo un offensivista nel senso zemaniano del termine, predilige gioco ed idee a difesa serrata e ripartenze e le sue rose sono sempre ampie e ben assortite per essere spremute in toto. Mazzarri, che all’Inter è dovuto ripartire quasi da 0, è invece uno che ama stare con i piedi per terra, uno che riesce a spremere il meglio dalla sua ristretta cerchia di 14-15 uomini di fiducia, di titolarissimi. Poco incline al lavoro con i giovanissimi (oltre a Poli ai tempi della Samp, poche volte il tecnico di San Vincenzo ha dato piena fiducia ad un “under”), Walterone riesce a far dare il meglio di loro ai suoi numeri 9, che si tratti di Amoruso, Bianchi, Pazzini, Cavani o Palacio: i suoi attaccanti non vanno mai sotto la quindicina da quasi dieci anni a questa parte. Il suo gioco è meno divertente di quello dello spagnolo, ma avvincente ed emozionante: il punto cardine è la difesa a 3, coadiuvata da due esterni rapidi a capovolgere il fronte di gioco, due mediani ed un incursore in mezzo al campo, un ispiratore ed un finalizzatore davanti. Il possesso palla non è prolungato, ma finalizzato alla verticalizzazione rapida per colpire l’avversaria quando questa non ha il tempo di richiudersi: ricordate il Napoli degli scorsi anni, paradossalmente più grande con le grandi (e scusate il gioco di parole) che con le piccole? Le squadre di Benitez, invece, partono dal dogma della difesa a quattro: un portiere bravo anche con i piedi, un regista arretrato ed un marcatore puro più due terzini bravi anche a sovrapporsi in fase di possesso. Dalla cintola in su, poi, si può cambiare a seconda delle qualità del materiale umano a sua disposizione, ma il modulo più in voga è il 4-2-3-1. Assistere ad una gara di Benitez è quasi uno spettacolo, ma la fase difensiva non è emozionante e sicura come quella offensiva, vedi la gara col Chievo.
Il verdetto – Sembra quasi una frase fatta e, in effetti, lo è, ma per poter affermare con sicurezza chi sia “meglio dell’altro” bisogna contestualizzare la situazione. Mazzarri è il migliore nell’ottenere il massimo da gruppi non eccelsi tecnicamente, riuscendo a sopperire a gap tecnici con “fame” (è un motivatore di primissima fascia), acume tattico e solidità. Ha però qualche problema quando gli si chiede il cosiddetto “di più”: le sue squadre, paradossalmente, deludono un pò quando partono da favorite, soffrendo chi, di fronte, bada in primis a non prenderle ed a chiudere gli spazi (ricordate le bestie nere, quest’anno già asfaltate, Bologna e Chievo?). Per un Inter in fase di ricostruzione, senza l’obbligo di vincere, Walter Mazzarri è l’uomo giusto per stupire. Palacio e soprattutto il rientrante Milito si sfregano già le mani. Benitez è invece un maestro del vincere e convincere, uno destinato a diventare l’idolo, per intelligenza mediatica e per ricerca del gioco, delle sue tifoserie. I suoi team sono cooperative del gol, dove esterni, trequartisti e punte partecipano attivamente alla fiera del bel gioco. Se dovesse ripartire da una rifondazione, tuttavia, lo spagnolo sarebbe in difficoltà, non avendo l’indole del guerriero, ma del poeta: l’esempio è proprio l’Inter post Triplete del 2010. Alla fine, quindi chi vince il tèt-a-tèt? Entrambi: Benitez è il tecnico giusto a guidare il Napoli in alto, dove forse non è mai arrivato, accendendo il San Paolo e lanciando una rosa Mundial in vista del Brasile. Non c’è niente meglio di lui per una piazza come quella azzurra. Mazzarri, invece, è perfetto per la situazione dell’Inter, che riuscirà sicuramente a migliorare sotto la sua guida. Già l’anno prossimo, tuttavia, le cose potrebbero cambiare: a differenza di Rafè, Walterone non da’ il meglio nelle competizioni brevi (vedi Champions o Europa League) o almeno non riesce a tenersi competitivo in più competizioni. Il Napoli 2012 arrivò agli ottavi Champions, ma sesto in campionato, mentre quello 2013 secondo in A, ma fu disastroso in Europa League.