Il calcio degli antipodi: popolarità, lotta sociale e razzismo

Il calcio popolare, quello delle categorie regionali e provinciali. è quello che da sempre affascina, incanta, emoziona e fa sperare in un calcio diverso. Chi non lo apprezza mente, sapendo di mentire. Il motto degli ultimi anni, infatti, è sempre stato ed è ancora “no al calcio moderno”. No al business, alle logiche fiscaliste ed economiche che tagliano fuori piccole realtà che hanno voglia di vivere ancora il calcio genuino.

Un calcio che si vive in tutte le nazioni, in maniera più o meno passionale, più o meno presente e ricca di tifoseria. E’ il calcio dei buoni propositi, della lotta sociale, politica, di portatori di valori che coinvolgono più o meno l’intera nazione, o solo una regione o ancora un solo quartiere. E’ quel calcio in cui giocatori, dirigenti e staff ci mettono la faccia fino in fondo e cercano di ridare una piega diversa a quello che è uno sport che riunisce le masse più di altri, per la grande quantità di persone che coinvolge.

Al tempo stesso è il calcio degli antipodi, perchè dove si lotta per un valore più o meno mondiale, arriva certamente il detrattore, colui che vigliaccamente e anonimamente si mette di traverso. E’ successo in questi giorni. Tre giorni per tre notizie differenti, per tre nazioni diverse, ma che coinvolgono tutte il calcio popolare.

Lo scorso 5 gennaio sono riprese le attività ufficiali su quasi tutti i campi di calcio, professionistici e non. In quel di Termoli un calciatore, Stefano Caiola, che milita nel Turris Santa Croce, ha salvato la vita ad un dirigente che, a bordo campo, era stato colpito da un infarto. L’uomo si è salvato grazie all’intervento del giovane calciatore, ma soprattutto grazie al defibrillatore che era presente nell’impianto sportivo, oltre che alla manovra di massaggio cardiaco a cui è stato sottoposto proprio da Caiola. Un gesto semplice, elementare, quasi banale, ma che ai giorni nostri, nella società dell’indifferenza e dell’omertà diventa un vero e proprio gesto eroico.

Passa una nottata, ci si sposta oltre le Alpi e oltre i Pirenei, andando nelle Asturie, dove lo stadio La Cruz di Ceares, quartiere di Gjon, Spagna, viene imbrattato da frasi razziste e svastiche. Da “6 millones de judoes mas” (Altri sei milioni di ebrei, ndr) a “Guarros” (maiali, ndr). Frasi ingiuriose che va confermare una rinnovata forma di xenofobia e antisemitismo che si continua a negare. Perchè colpire l’Union Club Ceares? Facile. La squadra del quartiere di Gjon, omonima appunto della squadra, negli anni 2010, dopo il rischio di sparizione, ha deciso di operare un cambio di filosofia, passando all’azionario popolare, tuttora esistente, che permette alla squadra di giocare e mantenersi nel mondo del calcio, seppur nelle leghe dilettantistiche. Esempio emblematico di calcio popolare, ispirato dalle realtà inglesi come il St. Pauli e lo United of Manchester, che combatte il dualismo calcio-business della nuova frontiera sportiva. Fair play finanziario, ma soprattutto lotta sociale contro il razzismo. Lavora per l’integrazione, lotta contro l’omofobia, supporta gli scioperi dei lavoratori e si promuove per lo sviluppo del quartiere, tramite, anche, la raccolta di cibo e non solo, per coloro che ne hanno bisogno. Un lavoro sociale, che si potrebbe ritrovare in molte realtà nostrane, come il Quartograd, principale squadra ad azionario popolare che milita in Promozione, e che per prima si è posta al fianco degli spagnoli esprimendo pubblicamente la propria solidarie. Come i flegrei l’Afro-Napoli, ma non solo. In tutta Italia di esempi se ne potrebbero fare tanti.

Una lotta alla lotta, da parte di chi ancora resta attaccato ad una filosofia di vita che niente ha a che fare con la civiltà e con la tolleranza, restando legato ad un estremismo franchista che negli anni ’40 fu combattuta anche con il sangue, come fu con quello mussoliniano post leggi antisemitiche e quello hitleriano. La civiltà, anche quella sportiva, si riavvicina ad un buco nero che sta riassorbendo il buon senso di comune coabitazione e condivisione della vita.

Ma se da un lato c’è chi ancora mette i bastoni tra le ruote a chi non vive di business, di calcio moderno, di logiche e una sorta di dittatura economica che mette spalle al muro il ceto medio basso, nonchè la maggioranza della popolazione, c’è anche chi prova a mettere un bavaglio alla minoranza, (davvero?). con penalizzazioni, multe, spalti chiusi, forse estremamente severi. E’ il caso del Mènilmontant FC, squadra del quartiere omonimo di Parigi. Un altro caso di rappresentanza di calcio popolare, rappresentanza di un quartiere della classe lavoratrice capitolina. Un altro esempio di una squadra che mette davanti i valori dell’antirazzismo, lotta sociale e contro l’omofobia. Il logo della squadra, le vele rosse e nere di una nave simbolo antifascista, ne è la dimostrazione. All’imbocco del 2020 è arrivata una bruttissima sorpresa per la società da parte della federazione, e non solo, francese.

Una multa di 800 euro, sospensione del campo casalingo per un anno, e l’obbligo di disputare le partite interne su campo neutro che disti almeno 20 chilometri dal proprio quartiere. Una punizione che penalizza e costringe la squadra quasi all’esclusione dal campionato. Il tutto nasce lo scorso 26 novembre, quando nella partita interna contro Championnet Sport. I tifosi hanno esposto uno striscione che recitava: “Qui sogniamo che i polli arrostiscano”, citazione di Hugo Tsr, rapper che nei propri testi descrive la realtà del suo quartiere, non a caso Mènilmontant. Lo striscione è proprio una frase di un testo del rapper, che aveva procurato ilarità nei tifosi avversari, nei calciatori e addirittura dell’arbitro. Nessuna polemica, quanto meno all’istante, se non fosse che sui giornali parigini la foto dello striscione è rimbalzato come emblema dell’incitazione all’odio. Ed è proprio per una presunta apologia all’odio che la società viene punita, nonostante la celebre fama della dirigenza di avere come mission quella di combattere qualsiasi forma di razzismo e odio.

Insomma, una punizione inverosimile, che sembra quasi una grottesca interpretazione della legge dantesca del contrappasso. La società ha fatto ricorso per provare a salvare in qualche modo la propria situazione.

E’ il calcio degli antipodi, di chi prova a lottare e si ritrova muri al posto di strade aperte.