Dalle stelle più lucenti alle stalle, una mera questione di sliding doors sulla strada di Ezequiel Matias Schelotto. Al secolo calcistico, El Galgo. Uno di quelli che poteva essere, che doveva essere. Ma anche uno di quelli, solito dei Sudamericani atipici, che pare aver sfruttato male il suo talento. Ore che le premesse ci sono tutte, andiamo ad analizzare le montagne russe di una carriera e una vita rock and roll, quella si Ezequiel Schelotto. Capace di passare dalla massima Serie, di vestire e rappresentare due nazionali storiche e poi declinare fino alla Serie D, nuovo ecclettico simbolo del Barletta.
Partiamo dalla sua Alfa, Buenos Aires. In italiano significa letteralmente “vento buono”, quello che sembra spirare anche sui piedi di Ezequiel, mamma argentina di vecchio stampo e papà con parenti e lontane origini italiane. Capelli lunghi, viso smunto, corpo slanciato ma esile. In campo sin da piccolo sembra avere un altro passo, corre in maniera insaziabile per distanze indefinite, quasi irreali. Presto detto, nella terra della fantasia dei soprannomi ecco il suo, El Galgo. Il Galgo è il nome ispanico dei levrieri, a cui lui assomiglia in maniera strabiliante per doti e caratteristiche anche fisiche. 7 fratelli, una di quelle situazioni di semiagio ma in cui o corri oppure, se vai adagio come in una normale famiglia, in bocca ci metti poco. Impara lì a superare gli avversari non tecnicamente, ma in velocità. Lo nota il Velez, lui accetta la proposta e fino al 2003, anno in cui sarebbe dovuto approdare in seconda squadra fa cose strabilainti, quasi più da 100 metrista. Il salto di qualità è dovuto, ma non con il Velez perchè li con Schelotto gioca tale Freire, caterve di reti che lo trascineranno fino a Catania dove è ricordato per essere… un grande bidone. Passaggio da sotto età al Banfield, 5 anni di scorribande ed è il momento del grande salto, lo aspetta l’Italia.
A fine agosto 2008 approda in Italia con il Cesena. Il suo effettivo tesseramento avviene solo nell’aprile del 2009. Gioca quindi le rimanenti 6 gare (su 7 possibili) di Prima Divisione segnando un gol. Nel luglio del 2009 l’Atalanta rileva una metà del cartellino, con il giocatore che rimane comunque a Cesena. Poco male per un neo arrivato, che continua ad esssere un super velocista ma che inizia a sgrezzare i suoi piedi per diventare un discreto centrocampista. Nella stagione 2009-2010 parte come titolare, ottenendo la promozione in Serie A con 6 reti in 40 partite. Le sue prestazioni gli valgono le prime tre convocazioni in Under-21. Argentina? No Italia, si converte al paese natale della sua famiglia dimenticandosi clamorosamente della sua terra natia. Il 24 giugno 2010 viene riscattato totalmente dall’Atalanta: l’accordo prevede tuttavia che il giocatore rimanga per un altro anno in prestito alla squadra cesenate. Esordisce in Serie A il 28 agosto 2010 nella gara esterna contro la Roma (0-0). Il primo gol stagionale avviene il 27 ottobre nell’incontro di Coppa Italia contro il Novara, siglando la rete del momentaneo vantaggio della squadra cesenate (la partita finirà 3-1 per i piemontesi). Verso metà campionato si manifesta una rottura tra il giocatore e l’allora allenatore cesenate Massimo Ficcadenti che ne limiterà l’utilizzo.
Il 31 gennaio 2011 passa in prestito al Catania, dall’Atalanta che ne detiene l’intero cartellino. Lascia quindi il Cesena dopo tre anni e due promozioni, giocando in tutto 66 presenze e 8 reti (di cui 3 presenze e una rete in Coppa Italia). Fa il suo esordio in maglia rossazzurra il 6 febbraio 2011, nella partita persa per 1-0 contro il Bologna. Segna l’unica rete in campionato con la maglia del Catania il 17 aprile 2011, nella partita persa 1-4 contro la Lazio. Chiude la stagione con 14 presenze con la squadra etnea. Scaduti i termini del prestito, il giocatore fa ritorno all’Atalanta. Ed è qui che, come in Space Jam, il talento di Ezequiel sparisce, del tutto. Poi riappare in maniera fugace, ma in maniera altrettanto fugace sparisce. Dopo aver fatto la comparsa all’Atalanta, col soccorso disperato del Tanque Denis, che comunque non lo aiuta a ritrovare il suo talento, succede l’impensabile, la sliding doors. La suerte gira dalle parti di casa Schelotto. Ausilio e Fassone hanno urgente bisogno di un vice Guarin, magari bivalente. Omen nomen, Ezequiel Schelotto non solo arriva in Nerazzuro ma prende anche la numero 7, indossa più di qualche volta da tale Valentino Mazzola. Ma se pensate che sia tutto finito, andiamo al 24 febbraio.
Derby di Milano, entrambe nel loro momento peggiore con nomi improbabili e classifiche più o meno deficitarie. Schelotto non ha ancora esordito, parte in panchina però. Monologo assoluto Milan con Balotelli che ci prova su punizione, su azione, da due passi ma a sbloccarla è una giocata estemporanea di El Sharaawy. Nerazzuri alle corde, Stramaccioni le prova tutte ma alla fine, al minuto 78′ avviene la magia. Dentro Schelotto, che corre subito nella mischia innescata per un calcio d’angolo. Batte Ricky Alvarez che appoggia a capitan Zanetti, parabola da museo del Louvre per la testa di Schelotto, che stacca così alto che nella ricaduta perde addirittura lo scarpino destro. Quando atterra si ritrova la Curva Nord crollare su di lui, tutto vero Galgo, l’hai ripresa tu.
Tutto bellissimo, ma quanto vano. In campo ci va per sostiuire Zanetti alla 36esima dopo la rottura del tendine d’achille del capitano, due presenze e poi inizia il declino totale. A Parma, neanche il fallimento è una squadra allo sbando lo manda in estasi. A Sassuolo di peggio, si perchè pur di non dargli spazio si inventano Federico Peluso ormai 37enne terzino tutta fascia. Per lui è troppo, basta Italia. Ma dove va un calciatore ormai finito, a cui è rimasto solo il cassettone dei ricordi? Lo Sporting Lisbona ha appena ceduto la sua bandiera Mathiue al Barcellona, serve un mediano/difensore di spinta. Talmente alto il bisogno che gli viene affibiata la clausola rescissoria che neanche a CR7 fù data. 45 milioni di euro. Peccato che Schelotto giochi un campionato intero si… ma in due anni e sempre dalla panchina. Il 31 agosto 2017 si trasferisce a titolo definitivo agli inglesi del Brighton, neopromossi in Premier League; al primo anno gioca in tutto 23 partite e al secondo neanche una.
Resta svincolato e torna in patria prima al Racin, riserva di Rolon prima e Ocampos poi. Vanno via entrambi, potrebbe giocare in una big e invece va addiritura a titolo gratuito per le ultime gare all’Aldosivi, squadra molto modesta che è sul filo di lana per retrocede. Minuti totali 9, partite giocate 3. Arriviamo ad oggi.
A 35 anni, dopo una carriera da film melodrammatico ma anche da puntata di “Chi l’ha visto?” torna in Italia, la sua seconda casa. Ormai El Galgo sembra un levriero seduto da troppo più che uno pimpante e instancabile, il volto è scavato sin all’inverosimile, i capelli sono meno lucenti, quasi spezzati. Occhio però, il Sud Italia e la Puglia sono molto vicine per caratteristiche alla sua Argentina, è chissà. Sognare non costa nulla, ma facciamolo ad occhi aperti.
Su la voce, a tutto tango. El Galgo è tornato. Barletta sogna.