Alla Roma sta cambiando il vento. Dopo due stagioni fallimentari ecco i giallorossi in testa, in lotta per il titolo. Una bella rivincita per chi, tre anni fa, ha deciso di investire in Italia. James Pallotta, presidente della Roma, si sta togliendo le prime soddisfazioni e gran parte del merito va riconosciuto a Rudi Garcia.
“Lo avevamo in testa sin dall’inizio, solo che non era il primo della lista – racconta Pallotta in un’intervista a ‘Repubblica’ – da sempre ho voluto un allenatore straniero che si potesse confrontare piu’ con il mondo che con l’Italia. Volevo qualcuno fresco, culturalmente non troppo coinvolto in un vecchio sistema. Rudi mi ha convinto e si e’ spiegato in venti minuti di chiacchierata. Mi ha detto cosa voleva e in quale parte del campo. Anche i miei collaboratori in societa’ sono stati fantastici”. E osserva: vincere uno scudetto “non deve per forza significare follia e bilanci malandati”. Sul mercato e’ stato fatto un gran lavoro: “Abbiamo preso Strootman, capitano della nazionale olandese a 23 anni, Gervinho era stato allenato da Garcia a Lille, 28 gol in due stagioni, Ljajic e’ un talento. Credo che sport e business possano andare insieme. Non e’ irrazionale provarci.
Una societa’ puo’ essere gestita con serieta’, disciplina e conoscenza del mercato.
Le cessioni di Lamela, Marquinhos e Osvaldo? abbiamo fatto un ragionamento. Ora sembra che la Roma sia stata solo fortunata, ma abbiamo lavorato dietro. Volevamo solidita’ a centrocampo, una spina dorsale forte. Quando la squadra e’ venuta in America ho visto un gruppo affiatato, pronto ad aiutarsi, contento di stare insieme. L’anno scorso invece la squadra era troppo giovane, senza leadership, ognuno andava per conto suo”. E Pallotta non la prendeva bene. “Io ho spaccato televisori dalla rabbia. Quando sono in America seguo la partita da fanatico, mettendomi la maglia della Roma e trovandomi con un po’ di amici fidati. Ho un difetto: mi arrabbio. Ho giocato a basket e non mi piace perdere: si possono avere i conti a posto, ma se non vinci, non costruisci una leggenda”. Dall’altro lato, pero’, vincere uno scudetto “non deve per forza significare follia e bilanci malandati” e non e’ escluso l’arrivo di nuovi soci, anzi. “Abbiamo seri investitori pronti ad entrare, per Natale la Roma avra’ lo sponsor sulla maglia e per quando io avro’ 60 anni ci sara’ lo stadio nuovo. Allo Stato non chiediamo nulla: abbiamo la terra e i partner. Roma ne ha bisogno”. Per quanto riguarda la situazione in Italia, “il fatto che arrivino capitali dall’estero, come in Inghilterra, non e’ un difetto, una debolezza del sistema, ma un’opportunita’ da sfruttare.
Attrarre investimenti non e’ mai sbagliato. Poi si’, il calcio italiano non paga piu’ come una volta e ha perso competitivita’ rispetto ad altri paesi. Si e’ seduto, si e’ accontentato, si e’ guardato troppo allo specchio, piu’ local che global. E un po’ alla volta e’ morto.
Manca la voglia di fare sistema, vincono le particolarita’. Tante cose devono cambiare: andare alla stadio e’ una battaglia, perche’ le famiglie non devono avere diritto a uno spettacolo intenso, ma tranquillo? E’ ingiusto che le societa’ paghino il comportamento irresponsabile di un gruppo di tifosi – aggiunge Pallotta – chi urla bestialita’, chi si comporta male, deve stare fuori per sempre dallo stadio. Perche’ lo fanno rientrare?”. (agi.it)